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V I S U A L I Z Z A    D I S C U S S I O N E
a_fenice Inserito il - 01/09/2019 : 22:22:49
La multa è una sanzione pecuniaria inflitta alternativamente come sanzione amministrativa o come sanzione penale.
In Italia, la multa designa la pena pecuniaria per i delitti, in contrapposizione all'ammenda prevista per le contravvenzioni, sebbene nel linguaggio corrente venga impropriamente denominata multa qualsiasi sanzione pecuniaria, comprese le ammende e le sanzioni pecuniarie amministrative; queste ultime vengono comminate da vari organi della pubblica amministrazione (e non, quindi, dall'Autorità giudiziaria) al trasgressore di norme che non prevedono una sanzione penale.

È contemplata dall'art. 17, primo comma del codice penale, mentre l'art. 24 precisa che consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a euro 50, né superiore a euro 50 000 (questi importi, originariamente espressi in lire, sono stati convertiti in euro e più volte aggiornati nel tempo, da ultimo con la legge 15 luglio 2009, n. 94).

Per taluni delitti è prevista la sola pena della multa (in questo caso però il reato è stato depenalizzato dal D.Lgs. 15/01/2016, n.8 e la multa è stata sostituita da una sanzione amministrativa pecuniaria compresa tra € 5 000 a € 50 000[1]), per altre la multa si applica alternativamente o congiuntamente alla pena della reclusione (in questo caso il reato non è depenalizzato). Va poi tenuto presente che, secondo l'art. 53 della legge 24 novembre 1981, n. 689, la reclusione fino a sei mesi può essere sostituita dal giudice con la multa, salvo sussistano le cause ostative di cui all'art. 59 della stessa legge.

Il secondo comma dell'art. 24 c.p. stabilisce che, nell'ipotesi di delitti determinati da motivi di lucro, qualora la legge stabilisca soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da euro 50 a euro 25 000. Per lucro si deve intendere un vantaggio patrimoniale, proprio o altrui; tuttavia, è dubbio se la disposizione si applichi anche quando il motivo di lucro sia già elemento costitutivo della fattispecie di reato: la prevalente dottrina lo esclude, mentre la Corte di cassazione si è espressa affermativamente.

Secondo l'art. 133 bis c.p. il giudice, nella determinazione dell'ammontare della multa, deve tener conto anche delle condizioni economiche del reo. Può aumentare la multa stabilita dalla legge fino al triplo o diminuirla fino ad un terzo quando, per le condizioni economiche del reo, ritenga che la misura massima sia inefficace ovvero che la misura minima sia eccessivamente gravosa. Inoltre, secondo l'art. 133 ter c.p., può disporre, in relazione alle condizioni economiche del reo, che la multa venga pagata in rate mensili, in numero non inferiore a tre e non superiore a trenta, d'importo non inferiore a euro 15.

Secondo il testo originario dell'art. 136 c.p. la multa non pagata si convertiva nella reclusione; la norma, però, è stata annullata dalla Corte costituzionale con sentenza 21 novembre 1979, n. 131. Ora, secondo l'art. 102 della legge 689/1981, la multa non eseguita per insolvibilità del condannato si converte nella libertà controllata per un periodo massimo di un anno oppure, a richiesta del condannato, in lavoro sostitutivo. Il ragguaglio ha luogo calcolando un giorno di libertà controllata per ogni 38 euro o frazione di multa e un giorno di lavoro sostitutivo per ogni 25 euro o frazione di multa. Il condannato può sempre far cessare la pena sostitutiva pagando la multa, dedotta la somma corrispondente alla libertà controllata scontata o al lavoro sostitutivo prestato. L'art. 103 della legge 689/1981 aggiunge che la durata complessiva della libertà controllata non può, comunque, superare un anno e sei mesi e quella del lavoro sostitutivo i sessanta giorni. L'art. 108 della legge 689/1981 stabilisce, poi, che quando è violata anche solo una delle prescrizioni inerenti alla libertà controllata o al lavoro sostitutivo, la parte di pena non ancora eseguita si converte in un uguale periodo di reclusione. Infine, vanno ricordati gli articoli 196 e 197 c.p. che prevedono due casi in cui, in caso di insolvibilità del condannato, l'obbligazione civile per la multa grava su altra persona.

Le multe sono introitate dalla Cassa delle ammende, ente pubblico istituito presso il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria del Ministero della giustizia.
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L'ammenda è una pena pecuniaria. In alcuni ordinamenti (come Francia, Belgio e altri paesi francofoni) il termine designa la pena pecuniaria in generale. In Italia, invece, designa la pena pecuniaria per le contravvenzioni, in contrapposizione alla multa prevista per i delitti.

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Contravvenzione

Nel vigente Codice penale italiano, come già nel codice Codice Zanardelli del 1889, i reati sono distinti in delitti e contravvenzioni. Il criterio distintivo è di carattere prettamente formale, essendo basato sulla pena prevista. Stabilisce, infatti, l'art. 39 c.p. che "i reati si distinguono in delitti e contravvenzioni, secondo la diversa specie delle pene per essi rispettivamente stabilite da questo codice", mentre l'art. 17 c.p. precisa che pene per i delitti sono l'ergastolo, la reclusione e la multa (alle quali, nel testo originario, si aggiungeva la pena di morte), mentre pene per le contravvenzioni sono l'arresto e l'ammenda.

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Delibera

Una deliberazione (nel linguaggio comune anche delibera), in diritto, è l'atto giuridico imputato ad un organo collegiale, costituito da una pluralità di persone, e non a queste singolarmente.

Proprio perché imputata al collegio, ma non alle singole persone che lo compongono, la deliberazione si distingue dalla convenzione, imputata invece ai singoli soggetti che l'hanno conclusa. Inoltre, mentre la convenzione può essere conclusa solo con il consenso di tutte le parti, la deliberazione può essere assunta anche con il consenso di una parte soltanto dei componenti il collegio. Infatti, per la validità della deliberazione, le norme che disciplinano il funzionamento del collegio richiedono che la stessa riceva il voto favorevole di una quota dei componenti (il cosiddetto quorum funzionale) di solito inferiore alla totalità.

Sono deliberazioni gli atti degli organi collegiali pubblici e privati; secondo la natura e le competenze di tali organi, le loro deliberazioni possono essere atti di diritto privato, atti normativi, provvedimenti o atti endoprocedimentali.

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Delibera

La delibera (o più propriamente deliberazione) è l'atto tipico con cui il Consiglio comunale e la Giunta amministrativa assumono le loro decisioni nelle materie di competenza.
Fino ad un recente passato era adottata con deliberazione di giunta la maggior parte degli atti amministrativi del Comune. Oggi, invece, a seguito delle riforme amministrative che si sono succedute negli ultimi venti anni, con deliberazione degli organi politici sono adottati i soli atti di indirizzo politico-amministrativo e gli altri atti riservati a tali organi, mentre i rimanenti atti amministrativi sono di competenza dei dirigenti (e sono per lo più denominati determinazioni o, nel linguaggio corrente, determine). In particolare, sono approvati con deliberazione i bilanci dell'ente, i regolamenti e gli strumenti di pianificazione (ad esempio i piani regolatori generali), il cui testo viene allegato alla deliberazione stessa "per farne parte integrante e sostanziale". Tutte le delibere sono soggette all’affissione all’albo pretorio per quindici giorni. Di regola, esse divengono esecutive dopo tale periodo di pubblicità a meno che non sono dichiarata “immediatamente esecutive” al momento della loro approvazione.

Ordinanza

Le ordinanze amministrative sono emanate da un organo della pubblica amministrazione (ad esempio, il prefetto o il sindaco) per imporre un determinato comportamento ad un soggetto o ad una classe di soggetti oppure ad un organo. Si tratta, quindi, di provvedimenti amministrativi che creano doveri positivi (di fare o dare) o negativi (di non fare). Quando contengono norme generali ed astratte sono considerati atti normativi e, quindi, fonti del diritto.

In certi casi le ordinanze possono essere emanate in deroga all'ordinamento giuridico vigente, ma non ai suoi principi generali né a norme costituzionali: sono le cosiddette ordinanze libere, di cui sono esempi i bandi militari e le ordinanze contingibili e urgenti.

Ordinanze del sindaco

Le ordinanze, sono provvedimenti tipici per mezzo delle quali il sindaco, nella sua funzione di capo dell’amministrazione locale e di ufficiale di Governo, fa sorgere, in capo a uno o più soggetti, un determinato obbligo di fare o di non fare, pena l’applicazione delle sanzioni in essa stessa previste.Tale potestà ordinatoria si manifesta, pertanto, non solo con l’imposizione ai destinatari di determinati comportamenti di comando o di divieto, ma anche con l’adozione di particolari misure che impongono obblighi non espressamente previsti dall’ordinamento e che trovano il loro fondamento di legittimità nei presupposti di necessità e di urgenza. Tra le ordinanze previste e disciplinate nel nostro sistema giuridico è possibile, dunque, operare una distinzione in tre sottocategorie:

ordinanze normali: sono adottate dal sindaco nell’esercizio di funzioni attribuitegli dalla legge; l’obbligo di carattere generale fissato da un provvedimento normativo è applicabile al caso concreto: in questi casi vi è una perfetta corrispondenza tra la potestà ordinatoria e il principio di legalità;
ordinanze di urgenza: hanno un contenuto predeterminato e, come le precedenti, sono in linea con il principio di legalità; l’organo amministrativo è difatti chiamato a provvedere in via d’urgenza in occasione di alcuni precisi eventi già preventivamente individuati dal legislatore (come esempio in caso di calamità naturali, epidemie e frane);
ordinanze contingibili ed urgenti: a differenza degli altri provvedimenti esaminati non hanno un contenuto predeterminato dal legislatore; hanno in comune con le precedenti il presupposto dell’urgenza ma il tipo di azione da realizzare è discrezionalmente determinata dall’autorità pubblica.
Decreto del sindaco

Il sindaco può adottare altre manifestazioni di volontà attraverso altri provvedimenti amministrativi diversi dai vari tipi di ordinanze. Generalmente si tratta di atti finalizzati al buon funzionamento della macchina amministrativa, sono i decreti. Per mezzo del decreto, ad esempio, nomina i responsabili degli uffici e dei servizi, attribuisce gli incarichi ai dirigenti e quelli di collaborazione esterna, provvede alla nomina, designazione e revoca dei rappresentanti del Comune presso enti, aziende e istituzioni.

Determina

Le determine (o più propriamente determinazioni) sono gli atti amministrativi tipici con cui i dirigenti assumono le decisioni necessarie per realizzare gli obiettivi affidati dalla Giunta amministrativa. Con le determinazioni, che possono avere o meno rilevanza contabile, i dirigenti impegnano l'amministrazione verso l'esterno. Le determinazioni dirigenziali sono state introdotte nel nostro ordinamento dal D.Lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 (1), che, agli articoli 3, 16 e 17, definiva le attribuzioni dei dirigenti assegnandogli "la gestione finanziaria, tecnica e amministrativa, compresa l'adozione di tutti gli atti che impegnano l'amministrazione verso l'esterno mediante autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo". Le determinazioni vengono affisse all'albo pretorio per 10 giorni.

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Il potere di ordinanza sindacale alla luce della recente evoluzione normativa e giurisprudenziale (di Antonio De Vita)

Il potere di ordinanza sindacale secondo le previsioni del T.U.E.L.
Le disposizioni contenute nel Testo unico degli enti locali – D. Lgs. n. 267 del 2000 – attribuiscono al Sindaco, tra l’altro, il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti[1].

In particolare, l’art. 50, in caso di emergenze sanitarie o di igiene pubblica a carattere esclusivamente locale, prevede che il Sindaco possa adottare le predette ordinanze, nella qualità di rappresentante della comunità locale. Il decreto legge n. 14 del 2017 (c.d. Decreto Minniti), convertito con legge n. 48 del 2017, ha ampliato l’ambito di intervento del Sindaco, sempre nella veste di rappresentante della comunità locale, anche agli interventi volti a superare situazioni di grave incuria o degrado del territorio, dell’ambiente e del patrimonio culturale o di pregiudizio del decoro e della vivibilità urbana, con particolare riferimento alle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti, anche con interventi in materia di orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche.



Pure il successivo art. 54 conferisce al Sindaco il potere di adottare ordinanze contingibili e urgenti, seppure al fine di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica, ossia l’integrità fisica della popolazione, e la sicurezza urbana, ovvero tendono a prevenire e contrastare l’insorgere di fenomeni criminosi o di illegalità, quali lo spaccio di stupefacenti, lo sfruttamento della prostituzione, la tratta di persone, l’accattonaggio con impiego di minori e disabili, ovvero riguardano fenomeni di abusivismo, quale l’illecita occupazione di spazi pubblici, o di violenza, anche legati all’abuso di alcool o all’uso di sostanze stupefacenti. Tale potere è attribuito al Sindaco in qualità di ufficiale del Governo, con la conseguente soggezione al potere di vigilanza prefettizio e ministeriale.

Come risulta evidente, la differenza tra le due categorie di ordinanze è rappresentata dalla imputabilità del potere esercitato alla comunità amministrata oppure al Governo, ossia al potere statale[2]. Nelle fattispecie previste dall’art. 50, in particolare, rileva in maniera determinante la dimensione, locale o meno, dell’emergenza, venendo meno il potere del Sindaco nel caso di eventi che afferiscono ad un ambito sovracomunale[3].

Il potere di intervento sindacale è previsto non soltanto per fronteggiare situazioni di emergenza, ma anche per regolamentare e disciplinare situazioni ordinarie, purché si rinvenga nell’ordinamento una norma di legge che conformi il potere esercitato e sia rispettosa del principio di legalità sostanziale (cfr. art. 50, commi 3, 4 e 7); un esempio è rappresentato dal comma 7-bis dell’art. 50 che prevede l’adozione di ordinanze non contingibili e urgenti, ovvero c.d. ordinarie, allo scopo di limitare gli orari di vendita, anche per asporto, e di somministrazione di bevande alcoliche e superalcoliche, al fine di assicurare il soddisfacimento delle esigenze di tutela della tranquillità e del riposo dei residenti nonché dell’ambiente e del patrimonio culturale in determinate aree delle città interessate da afflusso particolarmente rilevante di persone, anche in relazione allo svolgimento di specifici eventi, nel rispetto dell’art. 7 della legge 7 agosto 1990, n. 241, per un periodo comunque non superiore a trenta giorni.

Quindi, il potere sindacale di ordinanza, in relazione agli interessi della comunità amministrata, può assumere la natura di potere di emergenza oppure un connotato di ordinarietà, a seconda dei presupposti che ne giustificano l’emanazione.

Le ordinanze contingibili e urgenti possono essere adottate in tutte le occasioni in cui ricorrono i presupposti, certamente generali e non tipizzati, di cui agli artt. 50 o 54, mentre le c.d. ordinanze ordinarie sono soggette al rispetto del principio di legalità sostanziale, ossia possono essere adottate se una norma di rango legislativo individua gli elementi essenziali della fattispecie da regolare (soggetti destinatari, ambito e modalità di intervento, finalità perseguibili, durata, ecc.). Difatti, la previsione contenuta nell’art. 54, comma 4, del T.U.E.L. che attribuiva al Sindaco, in via generale e senza ulteriori limiti, la possibilità di emanare ordinanze ordinarie è stata dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione del principio di legalità sostanziale e dell’azione amministrativa, oltre che per violazione del principio di uguaglianza[4].

Compatibilità del potere di ordinanza con la Costituzione e suoi limiti.
La Corte costituzionale, già all’inizio della sua attività, si è occupata della compatibilità con il dettato costituzionale delle ordinanze, giungendo ad ammetterne la legittimità nella sussistenza di alcuni presupposti indefettibili. È stato evidenziato, quale dato di fondo dell’ordinamento, che le ordinanze contingibili e urgenti devono ritenersi compatibili con la Costituzione in quanto rappresentano uno degli strumenti attraverso il quale fronteggiare situazioni eccezionali che non possono essere affrontate e risolte mediante l’esercizio delle competenze e degli ordinari poteri amministrativi.

La prima pronuncia è la sentenza n. 8 del 1956, che ha dichiarato infondata la questione di legittimità dell’art. 2 del T.U.L.P.S.[5], ritenendo costituzionalmente legittimo il potere di ordinanza del prefetto qualora sia connotato da “efficacia limitata nel tempo in relazione ai dettami della necessità e dell'urgenza; adeguata motivazione; efficace pubblicazione nei casi in cui il provvedimento non abbia carattere individuale; conformità del provvedimento stesso ai principii dell’ordinamento giuridico”. A conclusione del proprio ragionamento, la Corte, allo scopo di individuare una formulazione del citato art. 2 che lo ponesse, nella misura massima possibile, al riparo da ogni interpretazione contraria allo spirito della Costituzione, ha invitato il legislatore ad una “opportuna revisione del testo della norma predetta, al fine di renderlo formalmente più adeguato al carattere dei poteri attribuiti al Prefetto”. Tuttavia, in assenza di tale auspicata riformulazione legislativa, la Corte con la sentenza n. 26 del 1961 è nuovamente intervenuta, dichiarando la parziale illegittimità dell’art. 2 del T.U.L.P.S. nella parte in cui non imponeva ai Prefetti, nell’emanazione delle ordinanze di necessità, il rispetto dei «principi generali dell’ordinamento giuridico».

Con la sentenza n. 4 del 1977 la Corte ha ribadito che le ordinanze del Prefetto non possono certamente essere ricomprese tra le fonti del nostro ordinamento giuridico in quanto non innovano il diritto oggettivo, né sono equiparabili ad atti con forza di legge, sebbene autorizzate a derogare a quest’ultima. Le predette ordinanze – adottate ex art. 20 del T.U. comunale e provinciale del 1934 – anche laddove si rivolgano ad una “generalità di soggetti e per una serie di casi possibili, ma sempre entro i limiti, anche temporali, della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare, sono provvedimenti amministrativi, soggetti, come ogni altro, ai controlli giurisdizionali esperibili nei confronti di tutti gli atti amministrativi”.

Altresì con la sentenza n. 201 del 1987, viene specificato ulteriormente che per l’esercizio dei poteri di ordinanza da parte di autorità amministrative – che possono derogare ma non anche abrogare o modificare la normativa primaria – occorra una specifica autorizzazione legislativa che, anche senza disciplinare il contenuto dell’atto, che in tal senso può considerarsi libero, individui il presupposto, la materia, le finalità dell’intervento e l’autorità legittimata. Peraltro, il contenuto delle disposizioni derogatorie, pur non dovendo essere necessariamente predeterminato, deve rispettare le garanzie costituzionali, in specie le riserve di legge, assolute e relative (in tale ultimo caso, la norma primaria attributiva del potere deve adeguatamente delimitarne il carattere discrezionale), e, comunque, i poteri esercitati devono adeguarsi alle dimensioni, territoriali e temporali, della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare. Nello stesso solco la sentenza n. 127 del 1995, secondo la quale il carattere eccezionale del potere di deroga della normativa primaria, conferito ad autorità amministrative munite di poteri di ordinanza, sulla base di specifica autorizzazione legislativa, presuppone deroghe temporalmente delimitate, non abrogative o modificative di norme vigenti. Proprio il carattere eccezionale dell’autorizzazione legislativa implica, invero, che i poteri degli organi amministrativi siano ben definiti nel contenuto, nei tempi, nelle modalità di esercizio, in quanto il potere di ordinanza non può incidere “su settori dell’ordinamento menzionati con approssimatività, senza che sia specificato il nesso di strumentalità tra lo stato di emergenza e le norme di cui si consente la temporanea sospensione”.

Da ultimo, con la sentenza n. 115 del 2011, si è evidenziato che il conferimento di poteri amministrativi, in assenza dei presupposti della contingibilità e dell’urgenza, richiede la necessaria osservanza del principio di legalità sostanziale, non bastando la semplice individuazione del bene o del valore da tutelare, ma essendo indispensabile la determinazione del contenuto e delle modalità di esercizio di tali poteri, in modo da mantenere costantemente una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa. Difatti, laddove il legislatore attribuisse all’autorità amministrativa un potere assolutamente indeterminato, anche prescindendo dall’urgenza di intervenire, si lascerebbe una totale libertà di intervento al soggetto investito della funzione, in violazione della sfera generale di libertà dei singoli e delle comunità amministrate e quindi del principio di legalità sostanziale, di cui all’art. 23 della Costituzione, oltre che di legalità dell’azione amministrativa, di cui al successivo art. 97.

L’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in merito alla legittimità del potere di ordinanza consente di concludere che lo stesso è stato ritenuto compatibile con l’ordinamento costituzionale laddove sia rinvenibile un fondamento legislativo che ne delimiti il contenuto, i tempi, le modalità di esercizio e tutto ciò che ne giustifica l’utilizzazione, soprattutto avendo riguardo ai diritti, anche di natura fondamentale, che possono risultarne menomati e con i quali è necessario operare un doveroso bilanciamento. Appare evidente che tale valutazione di compatibilità costituzionale va riservata alle fonti di rango legislativo autorizzative del predetto potere – anche attraverso l’interpretazione fornita dal diritto vivente – e quindi va compiuta in astratto e a prescindere dal concreto contenuto del provvedimento urgente adottato, giacché “il giudicare se l’ordinanza [nel caso concreto] leda tali diritti è indagine da farsi di volta in volta dal giudice, ordinario o amministrativo, competente”[6] e non a livello costituzionale; se tale compatibilità è riscontrabile in astratto, allora si potrà assumere che la norma primaria risulti “equilibrata” nel conformare il potere di ordinanza dell’Autorità amministrativa, che a questo punto potrà ritenersi, sempre in astratto, conforme a Costituzione.

Caratteri distintivi delle ordinanze contingibili e urgenti.
L’individuazione della cornice costituzionale del potere di ordinanza e dei limiti che esso incontra consente di concentrare l’attenzione sulle caratteristiche che tali provvedimenti devono possedere per poter essere considerati conformi alle disposizioni legislative di carattere primario.

Preliminarmente va individuato il limite esterno del potere di ordinanza contingibile e urgente che è rappresentato dal necessario rispetto dei principi generali dell’ordinamento, del diritto dell’Unione europea ed ovviamente della Costituzione, mentre è ammessa una deroga, secondo quanto specificato in precedenza, a norme, anche di rango legislativo, specifiche e puntuali.

Il presupposto oggettivo che presiede all’adozione delle ordinanze di necessità è rappresentato dalla contingibilità e urgenza di provvedere in merito ad una fattispecie concreta, non altrimenti fronteggiabile con gli ordinari rimedi predisposti dall’ordinamento[7].

Contingibilità e urgenza non vanno intese come un’endiadi, ossia alla stregua di un unico concetto complesso, espresso tramite due termini indicativi dell’urgenza di provvedere, ma rappresentano due requisiti autonomi che devono essere accertati come contemporaneamente sussistenti per legittimare l’adozione di una ordinanza necessitata.

L’urgenza si configura allorquando emerga la necessità di intervenire con immediatezza e senza possibilità di differimento dell’intervento, a causa di un effettivo e irreparabile pericolo per l’incolumità pubblica, non altrimenti eliminabile[9]. L’urgenza va verificata nel caso concreto ed è rimessa alla valutazione discrezionale dell’Autorità procedente. L’urgenza di provvedere ha indotto la giurisprudenza a ritenere non necessaria la previa comunicazione di avvio del procedimento ai destinatari dell’atto finale[10], persino quando l’indifferibilità dell’intervento può essere desunta implicitamente dalle caratteristiche dello stesso[11].

La contingibilità è invece rappresentata dall’imprevedibilità dell’evento dannoso da affrontare che impedisce di ricorrere agli ordinari strumenti apprestati dall’ordinamento[12]. La giurisprudenza ha inteso l’imprevedibilità non in senso assoluto, ma in senso relativo, non rilevando l’accidentalità in senso stretto dell’evento, quanto l’intensità con cui lo stesso si manifesta e il suo livello di gravità; quindi anche in presenza di situazioni di pericolo note da tempo non è inibito il ricorso al potere di ordinanza, se la necessità di intervenire si manifesta successivamente e non sussista altro rimedio efficace per eliminare il danno o limitarne gli effetti[13].

In presenza di tali presupposti è possibile derogare sia al principio di tipicità degli atti amministrativi che al rispetto della disciplina, anche legislativa, vigente; anzi è proprio nei casi di mancata tipizzazione legale delle situazioni di pericolo che si ammette il ricorso ad un potere straordinario che, permettendo di far fronte a situazioni di grave pericolo non previamente disciplinate, si pone quale elemento di chiusura e garanzia del sistema[14]. A ciò consegue che la presenza di uno strumento, legislativamente previsto, per governare una determinata situazione di pericolo esclude la possibilità di ricorrere all’innominato e atipico potere di ordinanza contingibile e urgente[15].

L’atipicità e la residualità del potere di ordinanza hanno quale contraltare la provvisorietà e la temporaneità degli effetti del provvedimento, che non può giammai conformare in via definitiva le posizioni giuridiche dei destinatari[16]. Tuttavia si è evidenziato come in alcuni frangenti gli effetti dell’ordinanza possano avere il carattere della irreversibilità, scaturente proprio dall’efficacia della misura adottata, considerato che una conseguenza attesa dell’ordinanza di urgenza non è soltanto quella di fronteggiare temporaneamente il pericolo, ma quella di eliminarlo definitivamente[17].

Del resto tra i caratteri dell’ordinanza sono ricompresi anche quelli della proporzionalità delle misure e della loro adeguatezza, di guisa che, nella verifica della legittimità del provvedimento di emergenza, assume rilievo determinante la circostanza che la misure adottate siano adeguate all’obiettivo da perseguire, cioè lo rendono attuabile, e siano proporzionate allo stesso, ossia non ultronee e ingiustificatamente restrittive della posizione giuridica dei destinatari dell’atto, da sacrificare nella minore misura possibile[18]. Per tale ragione riveste un particolare rilievo l’arco temporale di efficacia dell’intervento, che può rappresentare l’elemento cui rapportare l’idoneità e l’utilità della misura adottata[19].

Naturalmente tali elementi devono essere valutati ex ante e a tal fine assume importanza determinante la motivazione dell’ordinanza che deve essere supportata da adeguata istruttoria. La motivazione è lo snodo fondamentale attraverso il quale l’Autorità giustifica l’utilizzazione dei poteri straordinari e atipici, essendo necessario che quanto predisposto risulti rapportato correttamente sia ai presupposti fattuali che hanno determinato la necessità di provvedere sia agli obiettivi che si perseguono in relazione al pericolo da fronteggiare. Soltanto in presenza di una motivazione congrua e puntuale è possibile giustificare un intervento di urgenza anche in deroga a norme di rango legislativo. La congruità della motivazione, a sua volta, presuppone una istruttoria adeguata ed esauriente, che sia in grado di dimostrare in modo evidente la necessità di intervenire con urgenza e con quelle specifiche modalità[20], anche a garanzia del rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza[21].

Come risulta evidente dalle considerazioni in precedenza svolte, sia il procedimento di adozione delle ordinanze che il contenuto concreto delle stesse sono connotati da un’ampia discrezionalità dell’Autorità procedente che, riguardando il merito dell’azione amministrativa, non può essere sindacato in sede giurisdizionale, se non quanto risulti manifestamente illogico, arbitrario e irragionevole[22].

Le ordinanze, avendo natura ripristinatoria e non sanzionatoria, non richiedono l’accertamento della responsabilità nella causazione del fenomeno da debellare, dovendo essere indirizzate a coloro che sono materialmente in grado di porvi rimedio, indipendentemente dall’imputabilità a questi ultimi della situazione di pericolo[23].

Con specifico riferimento alle ordinanze contingibili e urgenti di cui all’art. 54 del T.U.E.L. va segnalato che la giurisprudenza maggioritaria le riconduce sostanzialmente all’apparato organizzativo dell’Ente locale, giacché l’imputazione giuridica allo Stato degli effetti dei predetti provvedimenti, sebbene adottati dal Sindaco nella qualità di Ufficiale del Governo, è di natura meramente formale; a ciò consegue che legittimazione passiva in giudizio spetta esclusivamente al Comune e non anche all’Amministrazione Statale[24]. Similmente, si è ritenuto che la mancata previa comunicazione dell’ordinanza al Prefetto non determina né l’inefficacia né l’invalidità della stessa, trattandosi di mero atto organizzativo finalizzato a consentire a quest’ultimo l’esercizio delle sue competenze di secondo grado[25]. Tuttavia risulta dubbio che il Prefetto possa annullare l’ordinanza del Sindaco, sebbene dotato di supremazia gerarchica (impropria)[26].

Aspetti peculiari della disciplina relativa alle ordinanze sindacali.
La già citata sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 2011 ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 54, comma 4, del T.U.E.L. “nella parte in cui comprende la locuzione «, anche» prima delle parole «contingibili e urgenti»”[27].

In tal modo la Corte ha espunto dall’ordinamento la possibilità (rectius, il potere) per i Sindaci di “emanare ordinanze di ordinaria amministrazione, le quali, pur non potendo derogare a norme legislative o regolamentari vigenti, si presentano come esercizio di una discrezionalità praticamente senza alcun limite, se non quello finalistico, genericamente identificato dal legislatore nell’esigenza «di prevenire e di eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana»”[28]. Di conseguenza non è più consentita l’adozione, in via generale, delle c.d. ordinanze ordinarie, ma è necessario che tale potere sia conferito attraverso puntuali disposizioni che ne delimitino l’esercizio in modo da determinarne il contenuto e le modalità e garantire sempre una, pur elastica, copertura legislativa dell’azione amministrativa, secondo le previsioni di cui agli artt. 23 e 97 Cost.[29]

Tuttavia anche con riguardo alle ordinanze contingibili e urgenti, seguendo la direzione tracciata dalla citata sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 2011, il legislatore, allorquando ha introdotto delle modifiche agli artt. 50 e 54 del T.U.E.L., ha ritenuto di dover individuare con maggiore puntualità alcuni degli ambiti in cui il Sindaco può utilizzare il potere di ordinanza contingibile e urgente[30]. Difatti attraverso il comma 5 dell’art. 50 e il comma 4-bis dell’art. 54 vengono individuati specifici, sebbene abbastanza ampi, settori di intervento sindacale, unitamente alle le finalità sottese agli stessi. Nonostante la lettera dei sopradetti commi non sia del tutto identica, si può ricavare dalla stessa una sorta di presunzione di legittimità (patrocinata dallo stesso legislatore) delle ordinanze, contingibili e urgenti, che si riferiscono a quegli ambiti e che perseguono le finalità ivi indicate. Quindi l’interpretazione che appare maggiormente plausibile è quella che impone il rispetto di tutti i requisiti previsti per l’adozione di una ordinanza di urgenza, salva tuttavia una parziale dequotazione dell’obbligo motivazionale in relazione alla necessità di adottare un’ordinanza riguardante uno degli ambiti previamente individuati dal legislatore. Si potrebbe addirittura ritenere che il mero richiamo alle citate disposizioni risulti sufficiente per giustificare l’intervento del Sindaco, che dovrà giustificare di conseguenza soltanto la sussistenza dell’urgenza dell’intervento e l’imprevedibilità (relativa) dello stesso, in coerenza con le risultanze istruttorie. Negli ambiti non previsti, invece, sarà necessario indicare anche l’assenza di rimedi ordinari per fronteggiare l’emergenza e sarà richiesto un onere motivazionale in generale più consistente anche per gli altri aspetti[31].

In precedenza si è già fatto cenno alla ampia discrezionalità che fa capo al Sindaco in ordine alla decisione di adottare un’ordinanza contingibile e urgente. In linea generale si deve ritenere che la discrezionalità riguarda certamente il contenuto dell’atto che consente all’Autorità preposta di adattare alla concreta fattispecie da fronteggiare gli strumenti e il potere conferito dalla normativa e finalizzarli alla risoluzione della problematica sorta nella misura più efficace possibile. Tuttavia, nella giurisprudenza amministrativa si cominciano ad intravvedere delle linee di tendenza che mettono in dubbio l’assolutezza della predetta costruzione e assumono la sussistenza di un vero e proprio obbligo in capo al Sindaco di adottare, in presenza dei relativi presupposti, l’ordinanza de qua. Difatti, secondo la giurisprudenza amministrativa, sebbene esuli dai limiti del giudizio sul silenzio “l’apprezzamento, lasciato all’Amministrazione, circa la ricorrenza dei presupposti necessari ad adottare provvedimenti contingibili ed urgenti, apprezzamento che costituisce oggetto di un potere discrezionale”, il giudice deve invece pronunciarsi allorquando l’Amministrazione provveda ad adottare un provvedimento espresso[32]. Tale orientamento sembra essere stato confermato in una successiva pronuncia, relativa alla medesima fattispecie concreta, nella quale si è precisato che soltanto l’assenza di un accertamento della situazione di fatto legittimo e definitivo, rilevante ai fini della sussistenza dei presupposti richiesti dagli artt. 50 e 54 del T.U.E.L., ha impedito al giudice di valutare adeguatamente le censure in merito alla doverosità dell’esercizio di un tale potere[33]. Alla luce dell’orientamento richiamato può ritenersi che si inizino a palesare delle fattispecie in cui non si riconosce più in via assoluta una piena e illimitata discrezionalità del Sindaco in ordine all’utilizzo dei poteri di urgenza, giacché almeno nei casi più rilevanti può essere imposto il ricorso a tali strumenti, quali unici rimedi efficaci in grado di far fronte alle lesioni più rilevanti all’ordinamento giuridico. Del resto in presenza di problematiche di ordine pubblico non possono che intervenire gli Enti competenti attraverso l’utilizzo degli strumenti del diritto pubblico, attesi i risvolti in materia di ordine, sicurezza, incolumità e igiene pubblici, non essendo delegabile ai privati o agli strumenti in possesso degli stessi un tale compito[34].

Ciò sembra avallato anche dall’orientamento della Cassazione penale, che ha affermato il principio secondo cui la mancata adozione di ordinanze contingibili ed urgenti integra il delitto di omissione di atti di ufficio e la violazione di regole cautelari finalizzate ad evitare eventi offensivi della persona, in quanto il Sindaco, una volta informato della sussistenza di una determinata situazione di pericolo, è tenuto ad attivarsi per adottare provvedimenti che consentano di evitare la verificazione di determinati eventi dannosi, rappresentando la mancata adozione degli stessi una violazione di regole comportamentali finalizzate ad evitare la realizzazione di eventi lesivi[35].

Da ultimo va richiamata la possibilità che anche in relazione alle ordinanze contingibili e urgenti si possa porre una questione di lesione di posizioni giuridiche che danno luogo ad una richiesta di risarcimento del danno, alla stregua di qualsivoglia atto amministrativo idoneo a comprimere illegittimamente la sfera giuridica dei consociati e in grado di provocare dei danni di natura patrimoniale o non patrimoniale[36]. È evidente, inoltre, che laddove fosse accolta la tesi che, in alcuni frangenti, sussiste l’obbligo e non la semplice facoltà di adottare un’ordinanza di urgenza, gli eventuali danni che dovessero prodursi in ragione di siffatta omissione sarebbero certamente risarcibili alla stregua dei danni arrecati in presenza di un provvedimento illegittimo.

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